In contesti abitativi e familiari è frequente l’insorgere di conflitti, che spesso si inaspriscono al punto tale che le parti arrivano davanti a un Tribunale. C’è però un modo diverso per risolverli: la Pratica Collaborativa. Leggete cosa ci raccontano i Professionisti Collaborativi e venite a conoscerli a #xdaysmi15.

omini

La Pratica Collaborativa è un metodo non contenzioso di risoluzione dei conflitti, in particolare nell’ambito familiare.

Le persone e i loro interessi vengono messe al centro, consentendo di individuare soluzioni attente ai bisogni particolari di ogni famiglia e di ogni coppia.

E’ un percorso che permette di affrontare tutti gli aspetti legati alla crisi familiare – quelli legali, ma anche quelli economici e relazionali – in un clima di fiducia e trasparenza, con il supporto di professionisti altamente qualificati.

Nasce negli anni ’90, quando l’avvocato matrimonialista Stu Webb comunicava ufficialmente ad un Giudice della Corte Suprema del Minnesota che non avrebbe più patrocinato cause avanti ai Tribunali, sia per i risultati dannosi che spesso derivavano all’intera famiglia sia perché riteneva che ci potesse essere una modalità diversa e di vero aiuto alla parti per affrontare, in particolare, quel tipo di conflitto.

Dagli Stati Uniti e poi dal Canada l’idea della Pratica Collaborativa, ha cominciato pian piano a diffondersi al mondo intero. Nel 2000 si è costituita l’associazione mondiale IACP, International Academy of Collaborative Professionals (www.collaborativepractice.com) che consta oggi di più di 7000 professionisti aderenti, dislocati in quasi tutto il mondo.

In Italia, nel 2010, è stata costituita l’Associazione Italiana Professionisti Collaborativi, AIADC (praticacollaborativa.it) della quale fanno parte oggi oltre 200 professionisti formati (tra legali, facilitatori della comunicazione, commercialisti, esperti di relazioni).

pratica collaborativa

Al centro Linda K. Wray, attuale President IACP, con, da sinistra gli avvocati: Carla Marcucci, Mariacristina Mordiglia, Francesca King, Elisabetta Zecca

Scegliere la Pratica Collaborativa, per ora applicata solo ai conflitti familiari ma che presto potrebbe estendersi ad altri settori, e quindi rivolgersi a professionisti appositamente formati a tale scopo, significa volere partecipare attivamente alla trasformazione del proprio conflitto alla ricerca del raggiungimento di accordi finali, soddisfacenti per tutte le parti.

Queste infatti siederanno fin dall’inizio, personalmente, al tavolo delle trattative.

Individuati i legali collaborativi di fiducia (che dovranno entrambi essere specificatamente formati alla pratica collaborativa), con i quali le parti creeranno una particolare e più profonda intesa, si individua un facilitatore delle comunicazione che entrerà a fare parte del team che condurrà tutta la squadra ad un accordo finale condiviso. Questo comporta siglare un accordo di partecipazione, con il quale ci si impegna alla trasparenza, lealtà e rispetto nei confronti dell’altro, e che garantisce la totale riservatezza di tutto quanto dichiarato ed esibito durante il percorso collaborativo.

Gli avvocati che assistono le parti infatti non potranno poi in alcun modo assistere gli stessi clienti in un eventuale giudizio contenzioso successivo ove, per qualsiasi motivo, non si riesca a raggiungere il traguardo dell’accordo condiviso.

L’esperienza comunque mostra che nella stragrande maggioranza dei casi l’accordo condiviso viene raggiunto: le tecniche peculiari cui i professionisti sono formati, l’ambiente protetto nel quale, iniziando con lo sciogliere le difficoltà di comunicazione e successivamente approfondendo il dialogo, si cercherà di accompagnare le parti verso soluzioni durature ed orientate verso il futuro, mettono realmente al centro gli interessi reali delle parti e dei loro figli. Il percorso, fatto a volte di prove ed esperimenti, rispetterà i tempi di ciascuno, nella tolleranza e riconoscimento delle problematiche individuali che, proprio dagli stessi soggetti interessati, devono trovare una soluzione.

Dopo anni di formazione, nel 2014 si sono svolti i primi casi anche in Italia, quasi tutti risolti con soddisfazione e successo.

L’inserimento nel team del facilitatore della comunicazione è diventato elemento caratterizzante la procedura, ed a seconda della necessità dei casi, possono poi essere inserite anche altre figure imparziali, come il commercialista e l’esperto di relazioni e dei bambini.

I costi, che potrebbero spaventare in considerazione del numero dei professionisti coinvolti, in realtà, sono decisamente minori di quelli che richiederebbe un procedimento giudiziale, considerati i tempi decisamente più brevi di un giudizio e gli enormi benefici che derivano a tutti i componenti del nucleo familiare dal superamento e, comunque, dalla trasformazione del conflitto.